Protesi d’anca mininvasiva

Negli ultimi cinquant’anni tutta la chirurgica ha cercato di agire con una minor invasività. Soprattutto le tecnologie di immagine radioscopica e videoscopica (artroscopia) sono acquisizioni che consentono di intervenire su tessuti profondi attraverso minimi accessi. Anche il chirurgo ortopedico ha cercato di sviluppare una tecnica chirurgica che risparmiasse al massimo i tessuti non coinvolti dalla patologia e le attuali strategie di impianto di una protesi d’anca testimoniano questa tendenza.

Chirurgia protesica mininvasiva dell’anca

Le diverse vie di accesso all’anca descritte negli anni mantengono un ruolo attuale e importante in un elevato numero di casi. Le stesse sono state progressivamente ridotte di dimensione e di danno muscolare, mentre gli strumenti chirurgici e i modelli di protesi d’anca si sono evoluti per favorire l’impianto protesico attraverso spazi di incisione più limitati.

La chirurgia protesica d’anca può essere definita mininvasiva da due punti di vista:

  • la via di accesso chirurgico
  • il risparmio dell’osso dal versante femorale

Accesso all’anca mini invasivo anteriore

Diversi mini-accessi sono stati proposti, ma l’approccio mininvasivo attualmente più utilizzato è la via anteriore, come originariamente descritta da Hueter nel 1881 e ripresa da diversi Autori all’inizio degli anni 2000. Questo è l’accesso mininvasivo che io stesso prediligo. Il chirurgo, partendo da un’incisione cutanea di 7-10 cm sulla faccia antero-laterale della coscia, raggiunge l’articolazione dell’anca attraverso una via anatomica che percorre lo spazio tra il muscolo tensore della fascia lata e muscolo sartorio, scostando il muscolo retto e accedendo direttamente alla capsula articolare, senza interrompere i ventri muscolari.

I vantaggi che ne conseguono sono:

  • minor dolore postoperatorio
  • più rapida ripresa funzionale
  • minor sviluppo di calcificazioni intorno alla protesi.

Come sempre accade, ai vantaggi corrispondono inevitabilmente svantaggi e limiti, che devono essere gestiti dall’esperienza del chirurgo. Le complicanze più frequenti:

  • sofferenza del nervo femoro-cutaneo (transitoria)
  • ematoma profondo
  • parziali fratture femorali intraoperatorie.

I principali limiti alla via mininvasiva sono:

  • le conformazioni fisiche robuste per difficoltà di accesso
  • le ossa fragili osteoporotiche per rischio di fratture intraoperatorie
  • le artrosi di particolare gravità per es. secondarie a displasie congenite, malattie reumatiche, esiti di fratture acetabolari o femorali.

In queste circostanze le vie di accesso tradizionali e l’esperienza protesica del chirurgo riusciranno comunque a garantire un buon risultato, anche in considerazione del fatto che, a distanza di un mese dall’intervento, le differenze di risultato fra le diverse tecniche di impianto tendono a minimizzarsi.

 

Protesi mini invasive

La mininvasività ossea si riferisce all’utilizzo di protesi d’anca di dimensioni più ridotte, adatte ad ancorarsi nella porzione più prossimale del femore, strutturalmente molto robusta, mentre invariata rispetto alle altre tipologie di impianto resta la coppa acetabolare.

I principali vantaggi di una protesi “corta” sono:

  • Il risparmio osseo
  • l’ancoraggio in un tratto in cui l’osso è molto resistente
  • la scomparsa del rischio di “dolore di coscia”.

Massima espressione della mininvasività ossea è la protesi “di rivestimento”, per la quale ho già motivato la mia contrarietà (esiste solo metallo-metallo con rischio di liberazione ionica, limiti di impianto per via mininvasiva, difficoltà nel ripristino di una geometria ideale), peraltro condivisa dalla maggior parte dei chirurghi che impiantano protesi d’anca.

Pur utilizzando regolarmente protesi di minori dimensioni, limito la scelta di steli veramente “corti” a casi di pazienti più giovani, con morfologie femorali normali e forte tessuto osseo.

Non esistono la via di accesso e la protesi “ideali”, ma quelle più adatte al caso che stiamo trattando.

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