La revisione di una protesi d’anca

La sostituzione di una protesi d’anca è un evento che, fortunatamente, non capita di frequente, se consideriamo l’esperienza di un singolo paziente. Una protesi ben impiantata e di buona qualità, a prescindere dalle cause che hanno portato al suo confezionamento, può durare fino a trent’anni, tempo che consente alla maggior parte dei pazienti di mantenere una protesi di così detto “primo impianto” per tutta la vita.

Ci sono situazioni in cui la sostituzione di parte o di tutta la protesi si può rendere per contro necessaria.

Tra le cause annoveriamo:

  • la mobilizzazione protesica, a sua volta causata da
    • fratture peri-protesiche
    • mancata integrazione osso-protesi
    • scollamento protesico asettico
    • scollamento conseguente ad un’infezione
  • le lussazioni recidivanti,
  • le incongruenze geometriche.

Innanzitutto, con il termine mobilizzazione protesica intendiamo il venir meno del contatto di presa tra protesi e osso. Questo può avvenire per cause di natura traumatica, come fratture peri-protesiche, per mancata integrazione osso-protesi, per scollamento protesico asettico generalmente conseguente ad una reazione infiammatoria generata da detriti da usura dei materiali, per scollamento conseguente ad un’infezione. Altre cause rilevanti che richiedono una revisione protesica sono le lussazioni recidivanti dell’impianto e le importanti incongruenze geometriche.

Fratture peri-protesiche

Se si considera che ogni anno presso la Clinica Ortopedica di Parma vengono trattate circa cinquecento fratture del femore prossimale (cioè della componente femorale dell’anca) in soggetti di età superiore ai sessantacinque anni, si intuisce come un elevato numero di fratture possano avvenire per le medesime cause accidentali in pazienti già portatori di una protesi totale, generando una frattura a carico dell’osso intorno alla protesi.

Le fratture periprotesiche possono coinvolgere il versante della coppa acetabolare o, più frequentemente, quello femorale. Il trattamento è sostanzialmente sempre chirurgico. Nel caso in cui la frattura non abbia provocato lo scollamento dell’impianto, si procedere ricomponendo la frattura stessa e fissandola con mezzi metallici (cerchiaggi, tiranti, placche e viti…). Al contrario, nel caso si sia prodotto lo scollamento della protesi, sarà necessario sostituirla con impianti dedicati alla chirurgia di revisione, che consentono l’ancoraggio su tessuto osseo sano distante dal focolaio di frattura.

Si tratta in ogni caso di interventi complessi, non privi di possibili complicazioni intra- e postoperatorie, riservati a chirurghi esperti in chirurgia sia protesica sia traumatologica, in ospedali con un’adeguata organizzazione di sala operatoria e di assistenza dopo intervento.

Mancata integrazione osso-protesi

si manifesta clinicamente nei primi mesi dopo l’impianto e può essere conseguenza di una cattiva qualità ossea o di sollecitazioni funzionali troppo elevate e precoci, mentre in alcuni casi è purtroppo responsabilità del chirurgo il non avere trovato una forte stabilità primaria.

Fallimenti protesici asettici

sono una complicanza più tardiva, generalmente a distanza di anni, legata alla reazione infiammatoria provocata dalla liberazione di detriti di usura dei materiali protesici o del cemento, che provoca un riassorbimento osseo intorno alla protesi e a una progressiva mobilizzazione della stessa. In alcuni casi la perdita ossea diviene molto importante, con produzione di abbondanti tessuti reattivi e assottigliamento atrofico delle corticali ossee.

A livello acetabolare spesso si creano grandi cavità e si scavano lacune ossee all’interno delle quali si raccolgono i detriti, mentre la protesi tende a migrare dalla posizione iniziale verso l’alto, talvolta spingendosi medialmente verso la pelvi, in intimo contatto con i grandi vasi e i visceri in essa contenuti.

Il trattamento prevede abitualmente un ampio accesso chirurgico per consentire la rimozione della protesi mobilizzata e di tutti i tessuti patologici, residuando un tratto più o meno ampio di ammanchi ossei e pareti frammentate, biologicamente sofferenti.

Il nuovo impianto protesico dovrà spesso sfruttare innesti ossei di banca o sostituti ossei per riempire gli spazi patologici e utilizzare particolari coppe e steli protesici in grado di ancorarsi su tessuto osseo meccanicamente valido, alla periferia all’area sofferente.

Sempre di più, questa chirurgia affronta dei rischi e richiede notevole esperienza da parte dell’operatore, che deve poter contare su una grande organizzazione complessiva, in grado di potere affrontare difficoltà non sempre prevedibili.

Tutto questo rende conto da un lato della necessità di utilizzare, nei primi impianti, materiali protesici di alta qualità e di realizzare sin da subito geometrie corrette al fine di evitare accelerazioni di usura, dall’altro, sottolinea la necessità di controllare periodicamente la protesi negli anni, così da affrontare precocemente un’eventuale necessità di revisione.

 I fallimenti protesici settici

conseguono ad un’infezione che può avere diverse origini e presentarsi come:

  • precoci
  • tardivi

Quelle precoci sono abitualmente causate da contaminazioni intra o peri-operatorie.

Quelle più tardive sono originate da occasionali disseminazioni batteriche nel sangue, provenienti da foci settici quali cistite, unghia incarnite, malattie dentali, infezioni respiratorie ecc.

I pazienti affetti da patologie che favoriscono le infezioni (grave diabete, obesità, malattie reumatiche maggiori, ecc.) o costretti ad assumere cronicamente terapie che immunodeprimono (cortisonici, immunosoppressori, chemioterapici, ecc.) sono maggiormente esposti a questa complicanza.

Un’infezione protesica è una complicanza molto grave, che richiede lunghe cure e competenze plurispecialistiche.

Nelle forme più precoci si procede con altrettanto precoce riapertura della ferita, ampia toilette e sostituzione delle parti protesiche mobili, mentre nelle forme più tardive si agisce abitualmente in due tempi, prima rimuovendo l’impianto e tutti i tessuti patologici e posizionando uno spaziatore in cemento osseo carico di antibiotici. Poi, dopo due-quattro mesi di terapia antibiotica, constatata la risoluzione dell’infezione, peraltro non sempre scontata, si potrà procedere alla rimozione dello spaziatore e all’impianto di una nuova protesi.

Lussazioni protesiche

Possono conseguire ad un impianto con orientamenti o geometrie non corrette, in particolare a

  • dismetria in accorciamento,
  • un’insufficienza muscolare
    • preesistente (emiparesi, neuromiopatie, etc.)
    • acquisita (precedenti interventi all’anca).

La via di accesso postero-laterale ha una maggior incidenza di lussazioni postoperatorie.

Una revisione parziale dell’impianto, sostituendo le componenti mobili, riesce di solito a risolvere il problema nella maggior parte dei casi.

In conclusione, nonostante il successo nel tempo della maggior parte delle protesi impiantate, la necessità di sostituire una protesi d’anca si rende talvolta inevitabile e l’intervento risulta spesso difficile e non privo di rischi, per le difficoltà di ancoraggio del nuovo impianto e per le condizioni generali del paziente, spesso anziano e con comorbilità. In questi casi l’esperienza del chirurgo può fare la differenza. Prima di affidarsi ad un chirurgo per revisionare una protesi d’anca, il paziente dovrebbe sincerarsi della sua reale esperienza in questo tipo di chirurgia (chiedere esplicitamente quanti interventi di revisione ha nella sua casistica come primo operatore) e pretendere una struttura ospedaliera ad elevata organizzazione e sicurezza.

 

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